E siamo
arrivati al secondo atto. Dopo le vicissitudini ed i quasi 500 km percorsi
nella prima tappa di avvicinamento, siamo finalmente arrivati al dunque. Ci
attendono le strade, le curve e le creste che caratterizzano questa fenomenale
zona francese che è il VERDON.
Notte
tranquilla, la stanchezza ha fatto si che le ore passassero serene e soprattutto
in un lampo. Apro gli occhi ed in un attimo dalla finestra filtra la luce del
giorno, gli uccelli al di fuori ci richiamano all’ordine. Appuntamento a
colazione non tanto presto, i km da percorrere non sono un granchè, circa 150.
Partiremo leggeri, i bagagli possono restare al Colombier questa sera saremo di
ritorno alla base e Moustier sarà ancora nostra proprietà.
Colazione
abbondante, cesta con baguette ghigliottinate a pezzettini, gli immancabili e
fragranti croissant, marmellate, burro, ed un ricco buffet a completa disposizione.
La padrona dell’Hotel
ci fornisce di cartine ben particolareggiate sulle strade da percorrere e ci
evidenzia i punti più caratteristici nei quali sostare ed ammirare. Verifica il
nostro programma e ci consiglia di tagliarne un pezzetto, “girate a questo
incrocio passate il ponte e cominciate il lato sud per il rientro. Andare a
Castellane è superfluo quel tratto costeggia una zona militare e c’è poco da
vedere. Riprogrammo veloce il navigatore con le nuove coordinate, un cenno alla
ciurma e tutti alle camere per indossare l’abbigliamento da moto.
Le nostre
compagne fanno già sfoggio in parata davanti all’ingresso dell’Hotel. Ore 10.00
il via ai motorini d’avviamento e la chiassosa combriccola avanza verso il
distributore di benzina per il pieno al serbatoio.
Le strade di
Moustier St Marie sono vive, altre squadre di motociclisti avanzano a passo
lento ma rigorosamente assordante in direzione Verdon. Solite dita a V o
movimenti di gamba ed il saluto del motociclista ci sta per tutti.
Anche l’ultimo
serbatoio è stato riempito, ripasso del percorso e le immancabili
raccomandazioni ed il gruppo si mette in marcia sgranato dietro alla mia
Roscia.
Ancora una
giornata stupenda di sole, l’aria frizzante che ondeggia tra i 10 – 13 – 15 gradi
centigradi, un bijoux e temperatura ottimale per sopportare ore ed ore in
sella.
Il nastro di
asfalto è ampio e scorrevole, la strada si snoda in un susseguirsi di curve
ritmiche ma percorribili anche a velocità sostenuta, mentre la natura ed il
verde ci abbraccia e ci coccola. Siamo in tanti in quelle zone, se ne sente e se
ne vede la presenza, tra moto, bici,
auto, e podisti, ma non c’è caos di traffico, il giro delle “gorges” viene
fatto da tutti (o quasi) nel medesimo senso (l’orario) e non ci si pesta
sicuramente i piedi a vicenda.
Nonostante
debba procedere tenendo presente il navigatore, ed avendo l’accortezza di guidare
e tenere il più compatti possibili altri 12 compagni alle mie spalle, riesco a
gustarmi lo spettacolare film di natura nel quale si immergono tutti e 5 i
sensi. Non ci sono scalate ripide da percorrere, tornanti impossibili o meglio
inversioni sulle quali prestare la massima attenzione. Tutto scorre ed al passo
che decidi di tenere. Ti ritrovi ora in spazi aperti con campi, prati,
piantagioni floreali o da frutto contorniate da una cornice di rocce e spuntoni,
ora in gole più strette dove i versanti delle montagne paiono toccarsi ma in
realtà divise da quel fiume, torrente o chiamatelo come volete che ha creato
questa bellezza naturale.
Vivi e viaggi
nel bel mezzo di un parco naturale, in un luogo che per certi aspetti pare
abbandonato da chiunque. Quasi ti senti in colpa a disturbarne la quiete dando
libero sfogo allo scarico del “bicilindrico” che rimbomba nella valle. Ma
quelle zone pur essendo così, selvagge, così lontane dalla cementificazione di
massa ma che allo stesso tempo sembrano accoglierti con gioia e rispetto da
darti una soddisfazione spirituale di non poco conto.
Più ci
allontaniamo dall’ultimo baluardo “civile” il nostro Moustier, più l’avventura
si fa esaltante. In un perfetto mix si susseguono sotto di noi tratti larghi e
scorrevoli e tratti decisamente più impegnativi ed angusti.
Stai godendo
come un riccio nel pensare che la spalla del tuo pneumatico sta lavorando alla
grande e pensi di aver raggiunto quella sorta di “orgasmo motociclistico”
quando uscendo da una gola ti si spalanca davanti agli occhi un immenso
infinito. Ti devi fermare, al primo spiazzo possibile e cominciare ad ammirare
un panorama ed una visione simile a quelle da te viste in televisione nei film
western o documentari sul mitico Gran Canyon americano.
A livello degli
occhi paesaggio che si apre a vista d’occhio in pieno stile Alpino, ma
abbassando di qualche cm la vista scopri la immensa ferita tra le rocce che ti
colpisce dritto allo stomaco ed alla immaginazione. Paesaggi che tenti di far
tuoi attraverso la retina immagazzinandone il più possibile, scolpendoli nella
tua memoria. Paesaggi che tenti di fotografare con il telefonino ma che allo
stesso tempo sai benissimo che non riuscirai a portarti a casa. Sai già che
travasando la memoria del telefonino per farla vedere a parenti ed amici non
riuscirà mai a trasmettere le sensazioni che stai provando in quel preciso
momento. Emozioni forti, che fatichi a tradurre in parole e dalla bocca ti esce
il più banale e scontato “CHE SPETTACOLO”.
Il cammino
procede molto segmentato, difficile coniugare moto e tutto ciò che ha da
offrirti il Verdon ma la magia di questi posti ti concede di tutto. In un
attimo ed ecco il paese di La Palude sur Verdon. Micro centro abitato posto all’incrocio
con il “circuito” delle Creste. Altra tappa obbligata per il viandante di
quelle zone.
C’è un silenzio
mistico intorno a noi ed il rimbombo dei nostri bicilindrici ha un “sapore” del
gongyo buddhista in un tempio orientale. Ci sta e ci sta pure alla grande. È un
continuo salire e scendere dalla moto troppe cose ci sono da vedere, ogni
spiazzo ed ogni terrazzamento meritano e devono essere onorati.
Ad ogni sosta
ti si ricarica l’anima, ed ad ogni ripartenza ti senti un tutt’uno con il tuo
mezzo. Il percorso è obbligato ed ogni partecipante è in grado senza problemi
di poter dar libero sfogo ai propri cavalli ed alla propria sensibilità di
guida. In cima alle Creste notiamo dei movimenti strani provenire da un
apertura del muretto di protezione all’esterno del tornate, e curiosi ci
avviciniamo. Una ripida scala porta ad un terrazzino sul NULLA, uno strapiombo
da brividi al quale sono appostati novelli “paparazzi” con attrezzature
fotografiche del valore pari se non superiore ad ognuna delle nostre bambine.
Bèlen ed il piccolo in visita alle Gole? Briatore in cerca della nuova location
per l’ennesimo Billionaire? Niente di tutto questo. Ornitologi intenti a
scandagliare le pareti e le rocce alla ricerca di chissà quali specie in via d’estinzione.
Soffro di
vertigini, e mi tengo ben saldo al parapetto in pietra controllando i miei
compagni di viaggio intenti nel giro. Lasciamo le Creste tornando all’incrocio
nel centro de La Palude, e la sosta per il raggruppamento della combriccola è
la scusa per avviarci al bar per una veloce “pausa pipi” ed una rinfrescante
bibita, preludio al “rifornimento” dei centauri che cominciano a sentire le “farfalline
nello stomaco”.
Decidiamo di procedere
fino a terminare il lato Nord del Verdon e riprendiamo la strada in direzione
Castellane. Durante il cammino notiamo parcheggiati furgoni a nove posti e
nelle loro vicinanze baldi giovanotti e giovanotte con mute caschi ed
attrezzature sportive. Stavamo transitando infatti nei pressi dell’arrivo dell’esperienza
Rafting e qualcuno di noi comincia seriamente a farci un pensierino.
È arrivato il
momento della sosta per la pappa e ci accomodiamo in buon ordine nella veranda
di un grazioso locale proprio di fronte ad un camping. Il sorriso sul volto di
tutti è da vedere, abbiamo fatto tanti km per venire sin qui, ma nel cuore di
tutti c’è la certezza che ne è valsa veramente la pena. Dall’albergo a qui non
abbiam fatto chissà quanti km ma sono state 2 ore e passa intense ed appaganti.
Trangugiato il trangugiabile e sorseggiato un caffè è arrivato il momento di
risalire in sella alle nostre fedeli compagne di strada, passato il ponte e ci
troviamo sul versante sud del Verdon sulla strada del ritorno che ci riporta al
lago di Saint Croix.
Ancora tante “pieghe”
ancora tante riprese, ancora tante sgasate ma soprattutto ancora ulteriori
visioni sicuramente ma uguali a se stesse. Affacciarsi da dirupi e ponti
cercando di scandagliare quella enorme crepa della quale si fatica a vedere il
fondo. E La giù, giù, giù in fondo quell’acqua che scorre e ribolle tra le
rocce e le rive.
In lontananza
il blu del Saint Croix si fa sempre più nitido ed importante, la fine del giro
è li a pochi km. A forza di curve e tornanti di strada che sale e che scende
arriviamo ad Aiguines, proprio quasi sul lago. La tappa tecnicamente è finita e
girando sulla destra si ritorna in albergo. Sandro e Riccardo decidono di
dichiarare la giornata motociclistica terminata come da programma e si avviano
verso “baita”, mentre con il resto della compagnia decidiamo di scendere sulle
rive del lago e percorrerlo tutto sulla riva opposta. Di tempo ce n’è e la
voglia di stare insieme pure.
Scendiamo,
percorrendo qualche km e imbocchiamo il “lungolago”. Difficile guardarsi solo dinnanzi
c’è troppo da vedere e troppe emozioni ancora da immagazzinare. Prendiamo una
stradina parcheggiamo le moto e scendiamo in uno spiazzo proprio a due passi
dall’acqua. Sotto ad una pianta, aria fresca e la chiacchiera sale. I minuti
passano inesorabili, e giunge l’ora di ritornare alla base. La cena AlfaIntes
ci attende.
Scopriamo con
nostro dispiacere che nel lato sinistro del lago non esiste una strada
litoranea ed in men che non si dica ci ritroviamo a percorrere la strada già
fatta la sera precedente lassù tra la lavanda ed il nulla. Libero rientro per
tutti, mentre io mi aggrego al cardiologo catanese ed al suo Boneville in coda
alla brigata.
Finalmente in
albergo per fare un paio di giri di centrifuga in doccia e per distendere le
ossa in branda. In attesa di recarci al ristorante, un ultima calibratura con
Sandro dei nostri navigatori per la tappa di rientro del giorno seguente.
E vai, ci si da
un agghindata e ci rechiamo sul terrazzo dell’albergo dove già qualcuno è in
perfetto relax. Il sole che scende ma picchia ancora e non poco e dalle stanze
la compagnia si riforma. Si parte per il centro del paese, la cena AlfaIntes ci
attende.
Locale molto
carino, giardinetto esterno caratteristico, non molto capiente tanto per cui la
nostra tavolata deve esser posta di traverso alla sala per non creare problemi
di ingombro. Con noi alcune coppie di ogni età tubano e si abboffano incuranti
di questi Italiani chiassosi … chitarra, mafia e mandolino che a tratti rompono
la romantica atmosfera in salsa francese.
Solito problema
nella lettura del menù, grande scelta ma della grande maggioranza dei piatti
non ne comprendiamo la benché minima configurazione. Il cameriere e figlio del
boss del locale si sforza gentilmente di venirci incontro traducendo in un buon
italiano mentre ci fornisce di un gradevole rosso d’oltralpe decisamente non
male. Atmosfera perfetta, molto gradevole la cucina e soprattutto la compagnia.
Come già
anticipato, vi erano alcune new entry nel gruppo rispetto alla passata stagione
che giustamente dovevano essere messi a conoscenza della famosissima
barzelletta de “mon capitain e della cammellà”. Roberto ne è l’interprete
principe ed in terra francese (soprattutto per il volume della voce) credo
abbia fatto ai nostri commensali l’effetto del miglior Dario Fò intento nel suo
“grammelot”.
Si arriva elle
grappe ed al caffè, siamo da soli ormai nel locale, big ben ha detto stop, la
passeggiata defatigante (dalla cena) per l’albergo ci attende e soprattutto ci
attende Morfeo. Domani mattina sveglia molto presto, purtroppo l’avventura va a
terminare c’è la lunga strada del ritorno da percorrere.
Encore Bonne
Nuit mes amis